Lgbt e Forze dell’Ordine: un connubio difficile, ma possibile

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Polis Aperta opera in Italia da 10 anni cercando di superare diffidenza, pregiudizi e luoghi comuni. Un impegno faticoso che ha già dato qualche risultato. Ne abbiamo parlato con Simonetta Moro, presidente dell’associazione.




 

 

 

È possibile appartenere alle Forze dell’Ordine ed essere omosessuali o transessuali? Sicuramente sì, anche se non è semplice. Per questo nel 2005 è nata Polis Aperta. Sono passati 10 anni e l’associazione, che fa parte dell’EGPA- European Glbti Police Association, ha percorso molta strada, nonostante le  difficoltà che sorgono ad operare in Paese dove non c’è una legge che condanni omofobia e transfobia e dove, per contro, sono molti radicati pregiudizi e luoghi comuni. Per saperne di più abbiamo rivolte alcune domande a simonetta-moroSimonetta Moro, presidente di Polis Aperta.


D. Come è nata l’idea e chi ha partecipato alla fondazione di Polis Aperta?
R. Prima di Polis Aperta esisteva una rete informale e non pubblica di colleghi Lgbt, appartenenti a diversi corpi di polizia e militari, che erano in contatto e s’incontravano tra loro. Uno di questi gruppi, attraverso un amico giornalista, ebbe occasione di partecipare nel 2004 ad Amsterdam al primo convegno della European Glbti Police Association (EGPA); una rete di Glbti Police Association (GPA) di vari paesi europei, che aveva lo scopo di scambiarsi buone prassi nell’ambito della lotta all’omofobia e alla transfobia all’interno delle forze di polizia. L’allora presidente della EGPA spinse i colleghi italiani a fondare anche in Italia una GPA; quei colleghi furono presi un po’ in contropiede perché non erano visibili e non erano preparati a fare attivismo. Tornati in Italia, però, diedero vita a Polis Aperta. Nei primi anni iniziarono a seguire le attività dell’EGPA, rimanendo però al di fuori sia del movimento Lgbt italiano sia dell’ambito istituzionale. Poi, a fine 2008, finalmente alcuni colleghi si prestarono a rilasciare le prime interviste, a farsi conoscere come gay in divisa e a promuovere l’associazione.


D. Come vi muovete all’interno delle Forze dell’Ordine?
R. In Italia esistono tanti Corpi diversi: Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, ogni Comune ha la propria Polizia Municipale o Polizia Locale e così via. Quindi l’ambito è molto ampio e variegato. Ognuno di noi, se è visibile, cerca quindi di agire nel proprio ambiente di lavoro coi colleghi più vicini oppure cerca di organizzare iniziative di formazione con l’aiuto dei propri Comandi.
aderenti-polis-apertaIn generale, come Polis Aperta, collaboriamo con l’Osservatorio Contro gli Atti Discriminatori della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri - OSCAD - sia sul piano della formazione sia sulla segnalazione di casi. L’OSCAD è l’unico organo istituzionale esistente in Italia all’interno delle Forze dell’Ordine per il contrasto di omofobia e transfobia. Noi, come Polis Aperta, siamo i loro interlocutori privilegiati nell’ambito dell’associazionismo Lgbt italiano.




D. Nel corso di questi anni dove siete stati più attivi? C’è qualche storia che vi ha colpito particolarmente?
R. Nel corso di questi anni siamo stati sempre molto in contatto coi colleghi stranieri dell’EGPA di cui anche Polis Aperta fa parte, cercando di imparare dalle loro esperienze più avanzate e buone prassi. Abbiamo tradotto e adattato alla realtà italiana un “toolkit” di formazione specifico per gli operatori di polizia in ambito di crimini ai danni delle persone Lgbt e lo abbiamo implementato in alcune occasioni. Lo scorso anno abbiamo partecipato attivamente a una prima formazione di vertici della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri sull’Asse sicurezza nell’ambito della Strategia Nazionale dell’UNAR contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Nonostante il vuoto legislativo italiano in materia di crimini d’odio ai danni di persone Lgbt, abbiamo voluto creare un vademecum per aiutare e incoraggiare le vittime di aggressioni a fare denuncia in base comunque ad articoli generici del nostro Codice Penale. Abbiamo, inoltre, cercato di essere più attivi nell’ambito del movimento italiano Lgbt, partecipando almeno ad un Pride a partire dal 2009 ogni anno e organizzando incontri con le altre associazioni e lavademecum comunità Lgbt.
Le storie che ci colpiscono sono le storie di persone comuni che fanno coming out nonostante gli ostacoli e la paura e rompono stereotipi e pregiudizi nel loro quotidiano. Secondo noi, questi sono atti straordinari di coraggio ed è quello di cui vogliamo parlare. Ovviamente ci sono anche storie tristi o drammatiche che vanno denunciate e risolte, ma parlare solo di questo alla lunga è scoraggiante. La nostra filosofia è di promuovere anche il positivo e di incoraggiare il più possibile la visibilità.


D. Come sono percepite all’interno delle Forze dell’Ordine le persone Lgbt? Dal 2005, quando è nata Polis Aperta, a vostro avviso, è cambiato qualcosa?
R. In generale pensiero più comune è che non ci siano gay all’interno soprattutto di polizia e carabinieri perché prevale lo stereotipo dell’omossessuale maschio effeminato che non può fare un lavoro considerato “macho”. Le lesbiche, come accade in ogni ambito, non sono contemplate. Le persone trans sono identificate solo come prostitute e pertanto solo come MtF.
Poi, come in ogni luogo di lavoro, dipende dalle persone con cui ti trovi a lavorare e dal clima che si respira, si possono trovare anche ambienti molto più aperti, non particolarmente pervasi da una cultura machista, con colleghi che hanno conoscenze ed esperienze che vanno oltre gli stereotipi comuni.


D. Come sono i vostri rapporti con le associazioni che operano in ambito Lgbt?
R. I nostri rapporti con le altre associazioni sono di sostegno e collaborazione. Qualche anno fa ci siamo resi conto che c’era diffidenza nei nostri confronti, un po’ perché non eravamo nati all’interno del movimento Lgbt italiano e non eravamo quindi attivisti conosciuti, un po’ per motivi storici di rivalità e odio tra popolo Lgbt e polizia, la quale in passato ha percepito ingiustamente l’omosessualità e la transessualità come problemi legati all’ordine pubblico. Basti pensare alla rivolta di Stonewall che ha poi dato inizio alla lotta per i diritti Lgbt. Oggi fortunatamente la polizia si prefigge di combattere i crimini d’odio ai danni delle persone Lgbt e striscione-polis-aperta
nei Pride dei paesi dell’Est europeo si pone a difesa delle persone che marciano per i propri diritti. Siamo comunque consapevoli che esiste una generale diffidenza da parte dei cittadini nei confronti dei poliziotti, percepiti come persone rigide e repressive. Per questo, da qualche anno, abbiamo iniziato ad organizzare le nostre riunioni all’interno dei vari circoli Lgbt, legandole a degli incontri su omofobia e transfobia con la comunità locale Lgbt, così da riuscire a superare queste barriere e a stringere legami di amicizia attraverso la conoscenza e il dialogo personale. Ora siamo conosciuti e stimati all’interno del movimento italiano e abbiamo avviato delle collaborazioni su quanto di nostra competenza. Esistono però ancora delle resistenze da parte di alcuni gruppi: purtroppo in Italia tendiamo a “ideologizzare” ogni cosa connotandola come di destra o di sinistra, e alcune persone non riescono a mettere insieme l’idea che si possa essere omosessuali, o addirittura transessuali, e portare una divisa, eppure è questa una realtà. In più, a scanso di equivoci, noi non siamo legati ad alcun orientamento politico, ma disposti a collaborare con chiunque ci aiuti a portare avanti i nostri ideali di uguaglianza a 360 gradi senza compromessi. Noi ci prefiggiamo anche di cambiare la cultura all’interno dei nostri ambienti di lavoro più rigidi, con l’ideale di una polizia che rispecchi la società in tutte le differenze possibili -da qui il nome
Polis Aperta- e di una polizia garante della democrazia e alleata della comunità.
M.Z.