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HIV/AIDS 2.0 - Profezia di un’evoluzione possibile

 

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Il saggio di Claudia Turrisi - che sarà presentato giovedì 18 febbraio a Milano nella sede dell’Asa - ripercorre la storia dell’infezione dalla nascita ai giorni odierni con interviste a medici, psicologi, volontari e a persone in Aids o sieropositive. Per saperne di più abbiamo rivolto alcune domande all’autrice. 







 

Di HIV si parla solo il Primo Dicembre, in occasione della Giornata Mondiale contro l’Aids, poi vi è di nuovo silenzio assordante. Eppure l’infezione è ancora presente nella nostra società, e non è circoscritta a una parte marginale della popolazione. Le nuove diagnosi sono attribuibili, nella  maggioranza dei casi, alla trasmissione sessuale. I dati evidenziano che si tratta di un fenomeno trasversale e in complessivo aumento, ma è come se il problema fosse scomparso, nessuno ne parla più.

Quando scoperto il saggio di Claudia Turrisi “HIV/AIDS 2.0 - Profezia di un’evoluzione possibile”, edito da Franco Angeli, ho immediatamente pensato che meriterebbe molte recensioni sui giornali e dovrebbe essere argomento di discussione nelle scuole.
Ma siamo in Italia e l’Hiv genera ancora pregiudizi, una reazione frutto dell’ignoranza. Molte persone, infatti, sono convinte, esattamente come trent’anni orsono, che “l’Aids riguarda solo alcune categorie della società”.
E sarà sempre così finché media e istituzioni continueranno a nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi.


Un’occasione per parlare di HIV


Di HIV si parlerà giovedì 18 febbraio alle 18,30 presso la sede dell’Associazione ASA Onlus - in via Arena 25 a Milano - alla presentazione del saggio di Claudia Turrisi. Con l’autrice saranno presenti anche Alessandra Bianchi e Massimo Cernuschi, che hanno contribuito alla stesura del saggio raccontando la loro esperienza di vita vissuta in associazione e in ospedale.

HIV/AIDS 2.0 è suddiviso in due parti. La prima “Genesi metastorica” propone una breve storia di un inizio apocalittico dal 1981particolare-cover
al 1996. La seconda parte “Ricercando” si interroga su cosa è cambiato trent’anni dopo e affronta il tema della diagnosi, delle cure e della prevenzione.
Filo conduttore di tutto il saggio sono interviste a psicologi, infettivologi, infermieri, pazienti e volontari.

HIV/AIDS 2.0 è volto a promuovere una nuova generazione di storie capaci di abbattere la mutilazione della comunicazione che ancora oggi sembra prevalere attorno all’HIV: vuole essere “profezia di un’evoluzione possibile” che crede nella tessitura di un contesto culturale e sociale pronto a includere il fenomeno HIV in tutta la sua complessità, quale richiamo perentorio all’uomo contemporaneo a ridisegnare i propri confini aprendosi alla costruzione di “reti generative”, fondate sulla responsabilità e la consapevolezza del valore da attribuire alla reciprocità della cura.



Quattro chiacchiere con l’autrice
 

D. Perché, dopo tanti anni, è nata la voglia di scrivere questo saggio?
R. La constatazione del “silenzio indifferente” che avvolge il fenomeno HIV in Italia negli ultimi anni è stata la molla che mi ha spinta a scrivere prima la mia tesi di laurea in Scienze dell’Educazione e poi questo saggio. Il silenzio ha generato un vuoto di attenzione su una realtà che non ha cessato di esistere. L’ignoranza culturale diffusa su cosa comporti vivere oggi con l’HIV, oltre a non favorire le condizioni di vita delle persone HIV-positive, genera verosimilmente una popolazione positiva al virus che non sa di esserlo.
La grande generosità delle persone che si sono rese disponibili all’intervista (medici, pazienti e rappresentanti delle associazioni), tramite il colloquio biografico, è stata la conferma corale di un lavoro che non poteva restare circoscritto ad una tesi di laurea ma doveva essere condiviso il più possibile.


D. Cosa è cambiato oggi rispetto a 30 anni fa?
R. Non è eccessivo dire che la ricerca scientifica e l’efficacia degli interventi terapeutici abbiano comportato un passaggio epocale nell’ambito dell’HIV. Siamo passati da una morte certa e in breve tempo, ad una aspettativa di vita simile a quella osservata nella popolazione generale. Siamo passati da una sopravvivenza stentata, alla possibilità di vivere a lungo e di vivere dignitosamente insieme alla malattia. Siamo arrivati alla possibilità che una coppia sieroconcordante, dove entrambi i partner claudia-turrisisono HIV-positivi, metta al mondo un figlio sano.
Questa straordinaria evoluzione è avvenuta in questi anni in un silenzio pressoché assoluto. Sembra che solo gli addetti ai lavori e le persone direttamente interessate siano aggiornate. Certo, dipende dai contesti, ma spesso le persone HIV-positive si ritrovano a dover fare i conti ogni giorno con un’umanità che per molti versi sembra rimasta ancorata ai vecchi schemi mentali del pregiudizio e dello stigma, in un’ignoranza che appare a volte sconcertante. È come se la maggior parte della gente non sapesse veramente nulla sull’evoluzione della patologia, delle cure.
Il risultato è una percezione sociale in merito all’infezione da HIV contraddittoria, distorta e parziale.


D. A tuo avviso stiamo compiendo le azioni necessarie per sconfiggere l'Hiv?
R. Dal punto di vista medico-scientifico, sicuramente sì. Sotto il profilo delle azioni e degli investimenti sulla prevenzione e dell’attenzione alle nuove esigenze psicologiche, sociali, antropologiche, educative, umane, le risposte sembrano essere molto più deboli, a volte del tutto inesistenti.
Sappiamo che la terapia antiretrovirale è non solo in grado di migliorare lo stato di salute delle persone che vivono con l’HIV ma anche di interrompere drasticamente la trasmissione del virus rendendo la carica virale delle persone in cura non rilevabile, verosimilmente pari a zero. E proprio sull’effetto sia terapeutico che preventivo dei farmaci si basa la nuova strategia disegnata dall’UNAIDS e dall’Oms che ha l’obiettivo di mettere sotto trattamento antivirale il più alto numero di persone con HIV in modo da abbattere la trasmissione del virus e “spegnere” progressivamente l’epidemia. Ma se si ignora il pericolo, se visto che non se ne parla più, non siamo sensibilizzati a occuparci di questo rischio, non siamo abituati a preoccuparci, quindi a occuparci prima che sia troppo tardi di salvaguardare la nostra persona e quella degli altri, se continuiamo a fare come se il fuoco fosse già definitivamente spento, perché mai qualcuno dovrebbe stare attento a non bruciarsi? È una strategia davvero vincente delegare tutta la questione preventiva e terapeutica alle cure farmacologiche? Io credo di no, fondamentale ma non sufficiente.
L’esperienza umana delle persone che per un motivo o per l’altro vivono a stretto contatto con l’HIV costituisce l’anima di questo saggio, e credo rappresenti un valido sguardo attraverso il quale guardare il presente e il futuro di questa infezione dentro una riflessione profonda sulle diverse dimensioni che la contraddistinguono. Forse così l’HIV potrà essere occasione e non condanna.
M.Z.



Chi è Claudia Turrisi
Inizia la sua esperienza nella pratica della cura  prestando servi- zio di volontariato presso due Case Alloggio che ospitano persone HIV-positive. Si laurea in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Bergamo con una tesi dal titolo: “HIV/AIDS 2.0. Storie di nuova  generazione o quasi”.
Lavora come  art director  pubblicitaria da diversi anni.

Chi desidera conoscerla meglio può vistare la sua pagina Facebook.

 

 

 

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